lunedì 23 maggio 2011

Quanto vale il referendum?

In queste ultime settimane ho collaborato con i comitati referendari della mia città. Ho così avuto modo di parlare con tantissima gente ed ho capito una cosa: tutti abbiamo almeno un motivo per andare a votare il 12 e 13 giugno. Dalla vecchietta a cui interessa l'importo della bolletta per il servizio idrico, alle famiglie rimaste colpite da quanto recentemente avvenuto a Fukushima. Dagli ambientalisti che realmente conoscono il pericolo rappresentato dall'energia nucleare fino agli anti-berlusconiani che vogliono abrogare il legittimo impedimento.


Premettendo che sarebbe bene che tutti conoscessero perfettamente perché il ritorno dell'Italia allo sfruttamento dell'atomo è insensato, perché privatizzare la gestione dell'acqua è un errore da cui, per esempio, i francesi sono scappati dopo 25 anni di esperienza, tornando alla gestione pubblica e perché il legittimo impedimento è una norma anticostituzionale, c'è ancora un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione.
Le consultazioni del 12 e 13 giugno sono uguali alle altre della nostra storia nella forma, ma non nella sostanza. Tralasciando per un attimo gli argomenti che si mira a regolamentare, il punto cruciale è l'eccezionale valenza democratica che i referendum hanno assunto in questi ultimi mesi per via dell'ignobile opera di boicottaggio perpetrata dal governo italiano ai loro danni.
In una qualunque democrazia degna di questo nome, è normale avere divergenze di opinioni, anzi, la libertà di pensiero e quella di espressione sono pilastri del sistema democratico stesso, ma sentire il Primo Ministro di uno Stato affermare, prima di aver verificato il volere dei cittadini, che “il nucleare è destino ineluttabile” e tentare con ogni mezzo possibile (moratorie, annullamento del referendum, blocco dell'informazione) di portare a termine un progetto senza rispettare l'opinione popolare, è proprio di un regime e non di un paese che vuol definirsi libero.
Ecco, allora, perché raggiungere il quorum ai prossimi referendum servirà non solo ad evitare l'avvio di una politica energetica disastrosa, a mantenere pubblica la gestione dell'acqua e a garantire l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma anche a stabilire la preminenza del volere del popolo su quello dei politici che siedono in Parlamento.
Tra venti giorni sceglieremo se vivere in un paese libero o in una partitocrazia in cui gli organi che dovrebbero essere di rappresentanza del volere popolare, sono invece distanti da esso e sorde ai bisogni reali della nazione.
Perché ho utilizzato il termine partitocrazia? Perché, per chi non lo sapesse, il 16 marzo scorso, quando il Parlamento ha votato sull'accorpamento del referendum alle elezioni amministrative appena passate – mossa che avrebbe permesso di raggiungere agevolmente il quorum – i favorevoli all'accorpamento furono 275, i contrari 276. Un voto di differenza che è costato ai cittadini 400 milioni per una tornata elettorale aggiuntiva e che renderà più difficile il raggiungimento del 50% + 1 degli aventi diritto. Un solo voto di differenza. Peccato che a quella votazione fossero assenti 10 deputati del PD e 2 di IDV.
Quindi non si tratta più di destra contro sinistra, di questo partito contro quello, siamo noi contro loro. È la democrazia contro la partitocrazia. Io scelgo la prima, e voi?

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