mercoledì 2 novembre 2011

Crisi economica. Mamma l'italiani.


Passano le ore, i giorni, le settimane, e la situazione economica del nostro paese è sempre più critica. Ieri la borsa Milanese ha chiuso con un -6,58% che non lascia spazio ad interpretazioni. Tutti i gruppi bancari, assicurativi e i principali titoli industriali hanno segnato ribassi importanti. I due maggiori istituti bancari del paese, Intesa e Unicredit, hanno registrato il ribasso maggiore della loro storia borsistica.
Il tasso sui titoli di stato decennali è ormai vicinissimo alla soglia considerata critica del 7%, toccata da Grecia, Irlanda e Portogallo. Lo spread dei buoni del tesoro italiano rispetto ai bund tedeschi oscilla ma è tendenzialmente in aumento. Insomma tutto sembra indicare una sola possibile conclusione: il default.
Default. Parola che balla sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo ormai da mesi e che sembra ormai svuotata del suo vero significato. Già perché non vedo nessuno preoccupato abbastanza per la situazione che stiamo vivendo. Forse non si conoscono bene le conseguenze del fallimento di uno stato. Forse la gente crede veramente che anche per l'Italia sia paventabile una situazione "alla islandese". Vediamo di fare un po' di ordine.

Cosa è successo in Islanda. Le principali banche del paese scandinavo avevano creato un buco di proporzioni enormi e lo stato ha deciso di nazionalizzarle accollandosi di conseguenza l'onere di far fronte al debito. La popolazione, tramite un referendum, ha deciso di disattendere a questa decisione mandando a casa il governo e "trasgredendo" alle norme internazionali.

Perché noi non possiamo perseguire la stessa strada. Il debito italiano deriva da una storia fatta di cattiva gestione, sperperi, furti veri e propri e chi più ne ha più ne metta. Gli italiani sono 60 milioni, gli islandesi 300 mila. L'Italia non è ricca di materie prime da esportare in cambio di valuta estera. In parole povere: l'Italia ha bisogno del mercato internazionale. Ciò significa non potersi permettere di non far fronte agli obblighi contratti in precedenza. 
Il discorso sarebbe ben più articolato ma ci basti sapere che anche nella fantascientifica ipotesi di un azzeramento del debito, comunque il nostro sistema non sarebbe in grado di reggersi sulle proprie gambe. Inoltre, default vuol dire crisi di liquidità, ovvero impossibilità di erogare i servizi pubblici (istruzione, sanità, difesa, ordine pubblico); cessazione, insomma, dello stato sociale, almeno nell'immediato.
La mia ricetta anti-crisi? Non sono un'economista, o almeno non ancora, ma qualche idea ce l'avrei.

Lotta totale all'evasione: pagare tutti per pagare meno. Favorimento dell'uso del denaro elettronico per un maggiore controllo delle transazioni commerciali. Deducibilità parziale dell'IVA anche per i privati per evitare le mancate fatturazioni. Spesometro (già in programma). Facilitazione dei controlli fiscali.

Riduzione dei costi statali: aumentare efficienza ed efficacia dell'amministrazione statale. Dimezzamento dei deputati e riduzione dei loro emolumenti è talmente ovvio da poter anche essere sottinteso. Annullamento di tutti i contratti di locazione per uffici in uso al Parlamento e spostamento degli uffici in immobili di proprietà dello stato. Riduzione di tutte le pensioni pubbliche superiori a 10.000 euro. Eliminazione delle province e accorpamento dei compiti a comuni e regioni. Uniformazione degli stipendi di consiglieri regionali a 1500 € e dei presidenti a 2000€. Eliminazione dei vitalizi derivanti dalle cariche di amministrazioni regionali o provinciali. Eliminazione del Senato e sostituzione con una camera di rappresentanza delle regioni.

Aiuti alle imprese: un mercato competitivo parte da lontano. Investimenti massicci in istruzione, università e ricerca. Snellimento della burocrazia in fase costitutiva e di gestione delle aziende. Incentivazione dell'imprenditoria giovanile attraverso agevolazioni per l'accesso al credito e regimi fiscali ridotti per i primi esercizi.

Potrei continuare, ma per il momento mi fermo qui. Alla prossima puntata.

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