giovedì 16 agosto 2012

London 2012 - La mia Olimpiade


La mia prima volta a Londra iniziò la sera di San Patrizio di qualche anno fa. Rimasi a bocca aperta per più di un minuto, folgorato dalle luci di Piccadilly Circus. Colpo di fulmine.
La prima Olimpiade che seguii fu quella di Atlanta '96. Quella del record di Michael Johnson e dell'oro di Yuri Chechi. Avevo 10 anni e la Cerimonia di apertura di quell'edizione mi rapì a tal punto da farmi divorare ore e ore di gare.
Innamorato di Londra, affascinato dall'Olimpiade, non potevo lasciarmi sfuggire il connubio tra le due.
Qualche giorno nella “host city” per vivere i Giochi, camminare ancora una volta nella città più cosmopolita del mondo, un melting pot secondo, probabilmente, solo a New York, e respirare a pieni polmoni l'atmosfera unica creatasi nella capitale britannica vestita a festa per quest'occasione speciale. Perché i Giochi non sono soltanto le gare.

I Giochi non sono i record né i flash dei fotografi.
Insomma, i Giochi non sono ciò che viene mostrato dalle dirette dei canali sportivi.
L'Olimpiade è tradizione, cultura, unione, passione, mito. E anche se oggi gli elevati costi organizzativi comportano la presenza di sponsor importanti, per alcuni invasivi, secondo me non è stato snaturato il sentimento con cui il Barone De Coubertin fondò i giochi dell'era moderna.
Lo spirito che percepisci solo quando vedi la gente applaudire il marciatore che si trova in ultima posizione, ad esempio, oppure quando ogni luogo olimpico, dall'Olympic Park ai maxi schermi piazzati in città, fino al BT London live, brulicante formicaio multietnico nel bel mezzo di Hyde Park, si ferma per ascoltare l'annuncio di una nuova medaglia vinta dal Team GB e subito dopo scoppia in un boato di giubilo, un tripudio di orgoglio per i colori della propria nazione (per inciso, non ci si legge assolutamente il nazionalismo di cui ha parlato Grillo che, ancora una volta, ha scelto la provocazione sbagliata per saltare sulle prime pagine dei giornali).

Organizzazione, precisione, gentilezza, apertura, cuore, questa è stata Londra durante questa Olimpiade. Merito degli inglesi, abituati ad aprirsi al mondo e mostrare il loro lato migliore, figli di una civiltà che ha donato tanto all'umanità. Per secoli. Merito dei 70.000 volontari, onnipresenti con le loro divise rosa e viola, le loro mappe della città stampate per l'occasione, felici di aiutare i visitatori in difficoltà, dare informazioni, controllare che tutto fili liscio. Merito, infine, dello sfondo fantastico offerto dalla città, in sui mi sono immerso curioso e felice come un bimbo la mattina di Natale.

Sono arrivato e ripartito con le tenebre.
Arrivare di notte permette di assistere dal finestrino dell'aereo ad uno spettacolo mozzafiato. Il buio Tamigi si snoda sinuoso lungo milioni di luci che abbagliano gli occhi: rimango rapito.

E di notte, ancora, ho passato gli ultimi istanti della mia Olimpiade: da Green Park mi dirigo verso Leicester Square passando per Piccadilly Circus; Charing Cross mi porta fino a Westminster e da qui inizio a percorrere la riva sud del Tamigi fino al Tower Bridge, passando per il London Eye, il Millenium e il London Bridge, Tate Modern e Shakespeare Globe, St. Paul's. È tutto così meravigliosamente armonico. La brezza rende la passeggiata piacevole, mi perdo tra le vie di Southwark e dopo esser rimasto per qualche minuto col naso all'insù per scorgere la punta dell'amato-odiato, maestoso, scintillante, Shard, arrivo finalmente a destinazione. È da poco passata l'una dell'ultima notte di questi Giochi, guardo i cinque cerchi campeggiare al centro del Tower Bridge illuminato che si staglia nel cielo scuro, simbolo dell'inventiva britannica, della storia di un'epoca in cui questa nazione era ancora un impero.
Londra è cattiva, ti lascia un senso di amaro in bocca che si acuisce quando, lasciandola a bordo del bus diretto in aeroporto, a notte inoltrata, non paga di quanto ha offerto ai tuoi occhi, ti mostra Battersea. Una costruzione che ovunque nel resto del mondo sarebbe un semplice sito industriale, qui è storia.

In mezzo tre eventi sportivi seguiti: la 50 km di marcia maschile, ça va sans dire, dal vivo, la semifinale di Roberto Cammarelle, in un pub con alcuni connazionali, e quella di Sarmiento da uno dei megaschermi del BT London Live.
E poi la mostra “The Olympic Journey” allestita alla Royal Opera House. Emozionante e istruttiva. Una visita d'obbligo a Casa Italia e una, altrettanto necessaria, a Casa Brasil, per vedere come i sudamericani stiano preparandosi all'impegno di Rio 2016.

Migliaia di istantanee nella mente. Londra nel cuore, ancora di più, per le emozioni che mi ha regalato.

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