Trenta lunghissimi anni. Tanto è durato il regno di Hosni Mubarak. Tanto ha impiegato il popolo egiziano a maturare il dissapore che in questi giorni è scoppiato nelle rivolte di piazza e ha portato alle dimissioni dell'ex (ormai possiamo dirlo) presidente – dittatore.
Giorni di proteste arrivati dopo decenni di soprusi, di stato d'emergenza (proclamato dopo l'uccisione del suo predecessore Anwar al-Sadat) che ha permesso il controllo dei media e gli arresti preventivi, due simboli incontrovertibili dell'esistenza di un regime e non di una democrazia.
Il 25 gennaio l'insofferenza del popolo egiziano è culminata nella rivoluzione: milioni di persone si sono riversate in piazza, e lì sono state per giorni, a scontrarsi con le forze dell'ordine, a gridare il loro dissenso verso l'oppressione di un individuo che da troppo tempo ormai oscurava le loro vite.
Alla fine degli scontri si contano trecento morti – 300 opposti ad un tiranno, corsi e ricorsi storici – e oltre tremila feriti, segno che la rivoluzione non è stata proprio pacifica, ma il sacrificio di queste vite non è stato vano poiché, dopo 18 giorni, Mubarak ha lasciato il suo incarico.
Prima ancora dell'Egitto era stato il turno della Tunisia: anche i Tunisini, spinti dalla crescente disoccupazione, dall'aumento incontrollato del costo della vita, dall'enorme corruzione, si sono rivoltati contro il loro governo riuscendo a cacciar via, dopo 23 anni, il presidente Ben Ali. Anche qui, ovviamente, c'è stato un costo da pagare, si tratta di 66 persone perite negli scontri e di centinaia di feriti.
Egitto e Tunisia, quindi, esempi per il mondo intero, dimostrazioni di come la forza di volontà possa far cambiare le cose, fautori del loro futuro per via di un passato trascorso a sopportare.
In Italia la situazione non è certo paragonabile a quella dei due paesi africani, è inutile essere ipocriti, la nostra democrazia ha grossi, innegabili, problemi, ma non siamo in un regime. Tuttavia, sono ormai molti anni che una parte del belpaese, sempre maggiore, urla alla dittatura. E allora? Anche noi siamo destinati a scontri di piazza per mandar via Silvio Berlusconi?
Personalmente ritengo che ciò sia molto improbabile, sia per le differenti condizioni di partenza, appena affermate, sia, come già scritto da qualcuno, perché nel nostro paese l'età media è di 15-20 anni superiore a quelle dei due stati nordafricani. E poi... e poi noi siamo italiani, noi siamo abituati ai soprusi, noi siamo la culla di tre delle maggiori organizzazioni criminali del mondo, noi siamo la terra in cui la parola “omertà” trova la sua massima espressione, noi siamo una nazione egoista dove il particolarismo batte la solidarietà, da sempre.
Oppure, più semplicemente, ciò che abbiamo da perdere e maggiore di ciò che abbiamo da guadagnare (da una rivoluzione). Intanto, in Algeria, questo limite è stato già sorpassato, e anche se le prime dimostrazioni sono state prontamente sedate, la scintilla è già scattata. Anche gli algerini si sono stancati del regime, o forse la vicinanza geografica ha permesso loro di assaporare il dolce profumo della libertà.
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