Diffusi ieri gli ultimi dati sulla
disoccupazione italiana. Giornali e tg allarmati hanno sbandierato un
9,8% record. Ma cosa significa questo dato buttato così?
Pochi, pochissimi media hanno
dettagliato le motivazioni dell'aumento della percentuale di
disoccupazione, lasciando ai cittadini l'interpretazione del dato, il
quale, molto facilmente, può essere travisato.
I disoccupati in più rispetto all'anno
passato sono circa 500.000 unità.
Quanti sono gli occupati in meno,
sempre rispetto a 365 giorni addietro? Circa 88.000 unità.
Come si spieghi questa differenza è
presto detto.
Per
il calcolo dei dati sull'occupazione, la popolazione di uno stato
viene suddivisa tra attiva e
inattiva. Nella prima
rientra, convenzionalmente a livello internazionale, chi è tra i 15
e i 64 anni. E proprio su questa vengono stabilite le varie
percentuali.
Nella
popolazione attiva riconosciamo la forza lavoro:
somma dei lavoratori e delle persone in cerca di lavoro, ovvero i
disoccupati. Il rapporto tra la forza lavoro e la popolazione attiva
indica il tasso di partecipazione.
Questo dato è utile per verificare che molte persone, pur facendo
parte della popolazione attiva, sono comunque classificate fuori
dalla forza lavoro: sono individui che pur non avendo un impiego, non
lo stanno cercando.
Dopo
aver definito questi semplici concetti, dovrebbe iniziare ad apparire
più chiaro cosa ha generato l'aumento della disoccupazione italiana
nell'ultimo anno. La differenza tra i 500.000 disoccupati in più e
gli 88.000 occupati in meno è rappresentata da individui che non
hanno e non avevano un'occupazione ma che, a differenza di dodici
mesi fa, ora la stanno cercando attivamente. Che anche questo
fenomeno sia dovuto alla crisi è molto probabile, anzi, diciamo pure
quasi certo. Quello che vorrei sottolineare è la differenza
fondamentale che risiede in un aumento della disoccupazione dovuto a
fallimenti e licenziamenti ed uno causato “semplicemente” da un
aumento del tasso di partecipazione.
Con
questo non voglio assolutamente sottovalutare il terribile dato
italiano del mercato del lavoro, tuttavia, mi pare doveroso precisare cose che spesso i giornalisti ignorano, volontariamente o meno.
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