La mia prima volta a Londra iniziò la
sera di San Patrizio di qualche anno fa. Rimasi a bocca aperta per
più di un minuto, folgorato dalle luci di Piccadilly Circus. Colpo
di fulmine.
La prima Olimpiade che seguii fu quella
di Atlanta '96. Quella del record di Michael Johnson e dell'oro di
Yuri Chechi. Avevo 10 anni e la Cerimonia di apertura di
quell'edizione mi rapì a tal punto da farmi divorare ore e ore di
gare.
Innamorato di Londra, affascinato
dall'Olimpiade, non potevo lasciarmi sfuggire il connubio tra le due.
Qualche giorno nella “host city”
per vivere i Giochi, camminare ancora una volta nella città più
cosmopolita del mondo, un melting pot secondo, probabilmente, solo a
New York, e respirare a pieni polmoni l'atmosfera unica creatasi
nella capitale britannica vestita a festa per quest'occasione
speciale. Perché i Giochi non sono soltanto le gare.
I Giochi non sono i record né i flash
dei fotografi.
Insomma, i Giochi non sono ciò che
viene mostrato dalle dirette dei canali sportivi.
L'Olimpiade è tradizione, cultura,
unione, passione, mito. E anche se oggi gli elevati costi
organizzativi comportano la presenza di sponsor importanti, per
alcuni invasivi, secondo me non è stato snaturato il sentimento con
cui il Barone De Coubertin fondò i giochi dell'era moderna.
Lo spirito che percepisci solo quando
vedi la gente applaudire il marciatore che si trova in ultima
posizione, ad esempio, oppure quando ogni luogo olimpico,
dall'Olympic Park ai maxi schermi piazzati in città, fino al BT
London live, brulicante formicaio multietnico nel bel mezzo di Hyde
Park, si ferma per ascoltare l'annuncio di una nuova medaglia vinta
dal Team GB e subito dopo scoppia in un boato di giubilo, un tripudio
di orgoglio per i colori della propria nazione (per inciso, non ci si
legge assolutamente il nazionalismo di cui ha parlato Grillo che,
ancora una volta, ha scelto la provocazione sbagliata per saltare
sulle prime pagine dei giornali).
Organizzazione, precisione, gentilezza,
apertura, cuore, questa è stata Londra durante questa Olimpiade.
Merito degli inglesi, abituati ad aprirsi al mondo e mostrare il loro
lato migliore, figli di una civiltà che ha donato tanto all'umanità.
Per secoli. Merito dei 70.000 volontari, onnipresenti con le loro
divise rosa e viola, le loro mappe della città stampate per
l'occasione, felici di aiutare i visitatori in difficoltà, dare
informazioni, controllare che tutto fili liscio. Merito, infine,
dello sfondo fantastico offerto dalla città, in sui mi sono immerso
curioso e felice come un bimbo la mattina di Natale.
Sono arrivato e ripartito con le
tenebre.
Arrivare di notte permette di assistere
dal finestrino dell'aereo ad uno spettacolo mozzafiato. Il buio
Tamigi si snoda sinuoso lungo milioni di luci che abbagliano gli
occhi: rimango rapito.
E di notte, ancora, ho passato gli
ultimi istanti della mia Olimpiade: da Green Park mi dirigo verso
Leicester Square passando per Piccadilly Circus; Charing Cross mi
porta fino a Westminster e da qui inizio a percorrere la riva sud
del Tamigi fino al Tower Bridge, passando per il London Eye, il
Millenium e il London Bridge, Tate Modern e Shakespeare Globe, St.
Paul's. È tutto così meravigliosamente armonico. La brezza rende la
passeggiata piacevole, mi perdo tra le vie di Southwark e dopo esser
rimasto per qualche minuto col naso all'insù per scorgere la punta
dell'amato-odiato, maestoso, scintillante, Shard, arrivo finalmente a
destinazione. È da poco passata l'una dell'ultima notte di questi
Giochi, guardo i cinque cerchi campeggiare al centro del Tower Bridge
illuminato che si staglia nel cielo scuro, simbolo dell'inventiva
britannica, della storia di un'epoca in cui questa nazione era ancora
un impero.
Londra è cattiva, ti lascia un senso
di amaro in bocca che si acuisce quando, lasciandola a bordo del bus
diretto in aeroporto, a notte inoltrata, non paga di quanto ha
offerto ai tuoi occhi, ti mostra Battersea. Una costruzione che
ovunque nel resto del mondo sarebbe un semplice sito industriale, qui
è storia.
In mezzo tre eventi sportivi seguiti:
la 50 km di marcia maschile,
ça
va sans dire,
dal vivo, la semifinale di Roberto Cammarelle, in un
pub con alcuni connazionali, e quella di Sarmiento da uno dei
megaschermi del BT London Live.
E poi la mostra “The Olympic Journey”
allestita alla Royal Opera House. Emozionante e istruttiva. Una
visita d'obbligo a Casa Italia e una, altrettanto necessaria, a Casa
Brasil, per vedere come i sudamericani stiano preparandosi
all'impegno di Rio 2016.
Migliaia di istantanee nella mente.
Londra nel cuore, ancora di più, per le emozioni che mi ha regalato.
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