giovedì 28 gennaio 2010

Facebook generation


Come molti di voi, anche io sono stato travolto dall'avvento dei social network, prima Myspace – che ormai è principalmente uno spazio per artisti e band musicali emergenti – e poi l'amato-odiato Facebook.



Premetto che, inizialmente, ero assolutamente contrario all'utilizzo dell'ormai diffusissimo Facebook, per il semplice fatto che è stato snaturato, privato della funzione per cui è stato creato, e trasformato in una mega piazza dove praticare il pettegolezzo 2.0. Successivamente sono stato praticamente costretto ad iscrivermi per tenermi in contatto con colleghi o amici che non utilizzano altri sistemi quali e-mail o programmi di instant messaging et similia.

Devo dire che alcune funzioni che, da non-utente, non conoscevo, mi hanno piacevolmente sorpreso, come la facilità di diffusione di contenuti di ogni genere, o di creazione di spazi utilizzabili per pubblicizzare prodotti o servizi (nuovo strumento di marketing, quindi, utile soprattutto per attività operanti in aree geografiche circoscritte).

Ogni medaglia ha però il suo rovescio: proprio le due funzioni che mi hanno colpito sono utilizzate dal 99% del popolo di facebook per diffondere idiozie!

La cosa, a mio modo di vedere, più preoccupante è l'appiattimento di concetti, idee, notizie, e inevitabilmente di cervelli, diffuse: osservare ciò che viene condiviso è veramente deprimente, capire come uno strumento potentissimo, con un potenziale smisurato, venga usato per dimostrare a tutti che i propri interessi sono limitati tra il calcio e le barzellette, passando dalle foto (TUTTE CON LE STESSE POSE, MA PERCHÉ???) scattate in discoteca all'essere fan delle cose più assurde.

La cosa splendida di facebook risiede in un aspetto “dualistico” della gestione della propria pagina, mi spiego meglio: molti non si accorgono che postare senza criterio rende visibile due aspetti del proprio IO, mostra ciò che si è, e ciò che si vorrebbe essere. Ciò che un utente è viene fuori dai gruppi a cui si iscrive, dai commenti che lascia, da ciò che scrive e da come lo scrive. Ciò che un utente vorrebbe essere è rappresentato dai link postati: avessi trovato un utente, uno solo, che ammette di aver paura di qualcosa, che non ha vendette da consumare, che non è invidiato, che si sente brutto; tutti sono invincibili, coraggiosi, generosi (soprattutto quando c'è da condividere la pagina sulla bimba affetta da una malattia rara, che non è altro che una delle tante bufale – la bambina ormai avrebbe 45 anni, se realmente fosse esistita – ma costa troppo leggere e capire, meglio condividere subito), tutti sanno cosa fare nella vita, fieri di ciò che fanno, sono fighi...e poi...e poi è un trionfo di “H” mancate, accenti tralasciati, “K” al posto di “CH”, “X” al posto di “PER” e chi più ne ha, più ne metta.

Insomma l'ignoranza impera, il nulla avanza, l'età media degli utenti diminuisce, l'info-sharing (è una parola esistente? Boh!) si velocizza, internet diventa un grosso bidone che contiene spazzatura indifferenziata da ciò che di utile ci offre, e all'orizzonte vedo solo ombra.

Sia chiaro che questo mio piccolo intervento non vuole certo addossare a facebook tutte le colpe che, nella realtà, vanno imputate alla nostra società, è solo che essendo questo nuovo strumento una finestra virtuale sul nostro mondo, è ormai molto più facile accorgerci di ciò che ci circonda guardando il monitor del nostro pc, piuttosto che parlando con persone in carne ed ossa.

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